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  • L'indicizzazione non è un diritto

    Redazione Reforming
    RN - 25 dicembre 2025 (.pdf, 410 Kb)
    RN - 25 dicembre 2025 (.pdf, 410 Kb)

    Il titolo è volutamente provocatorio, ma non sbagliato nella sostanza sia giuridica sia economica, come ci aiuta a riflettere la recente Sentenza n. 167/2025 della Corte costituzionale.

    Nella recente Sentenza 167/2025, che ha giudicato legittime le misure di raffreddamento dell’indicizzazione degli anni 2022 e 2023, la Corte costituzionale svolge alcune considerazioni su cui si richiama attenzione. Anche se non è centrale e anzi occupa solo poche righe in chiusura, è utile partire proprio dal collegamento tra regole di calcolo della pensione e regole indicizzazione della stessa che la Corte mostra di intuire anche se non in maniera completa.

    Se le regole di calcolo sono scelte per trasferire risorse nel tempo a livello individuale, senza attivare flussi redistributivi interpersonali, la piena indicizzazione è un diritto soggettivo patrimoniale, violato il quale il pensionato riceve in termini reali meno di quanto da lui versato in contributi; ma, se il calcolo delle pensioni è sin dall’inizio generoso, la necessità che si recuperi anno per anno la dinamica dei prezzi si indebolisce sino anche a scomparire a seconda dell’ampiezza dello squilibrio nella “corrispettività” e delle compatibilità economiche e sociali (comprensive delle altre funzioni e degli altri obiettivi da perseguire). Se dopo ‘x’ anni di indicizzazione, in ‘t+x’ è pari a 100 la pensione che realizza la “corrispettività”, la stessa pensione se erogata per 100 sin da ‘t’, anno di decorrenza, non necessità di piena indicizzazione per soddisfare la stessa “corrispettività”.

    Un raffreddamento programmato e ordinato dell’indicizzazione offrirebbe una leva in più per il riequilibrio tra capitoli di spesa e tra generazioni. È l’unica via per coinvolgere, gradualmente in un quadro di legittimità, lo stock dei pensionati e chiedere loro aiuto a superare la “gobba” di incidenza della spesa pensionistica sul PIL che toccherà i massimi tra il 2030 e il 2035. Andrebbe fatto, ovviamente, salvaguardando la fasce di reddito basse, possibilmente considerando tutti i redditi e non solo quelli pensionistici del primo pilastro. Salvaguardare le fasce di reddito più basse a rischio povertà è nella Costituzione, mentre indicizzare erga omnes prestazioni pensionistiche già contenenti flussi redistributivi non è nella Costituzione e neppure nei doveri del welfare system. Il principio che il diritto alla redistribuzione attraverso il welfare system si guadagni e si accresca attraverso gli anni contribuzione sociale è estraneo, addirittura antitetico, alla nostra Costituzione.

    Ai livelli di spesa odierni e con le regole di indicizzazione in vigore, un punto di inflazione implica una spesa di indicizzazione di oltre 3,3 miliardi. Tenuto conto che il 50 per cento dei redditi pensionistici IVS si colloca al di sotto del quadruplo del Trattamento minimo dell’INPS (31.377 euro annui lordi nel 2025), si dovrebbero mettere a punto regole di indicizzazione che permettessero risparmi di spesa per almeno un terzo, almeno 1 miliardo di euro per punto di inflazione all’anno, da dedicare interamente a sanità, asili nido, istruzione, etc..

    Un messaggio duro, forse difficile da accettare, ma purtroppo vero e necessario, almeno in questa stagione.

    Welfare&Lavoro, Finanza pubblica, Law&Economics

    Tag

    calcolo contributivo, calcolo retributivo, corte costituzionale, indicizzazione, inps, istat, osservatori inps, pensioni, redistribuzione, sistema sociale, sostenibilità, welfare

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