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Il cuneo contributivo visto dal 1965
È esercizio utile – e altre volte Reforming lo ha messo in pratica – quello di confrontare analisi economiche di qualche decennio prima con i principali punti del dibattito corrente sullo stesso tema.
In allegato, ci sono gli atti del primo convegno di “Studi statistici sulla finanza pubblica”, organizzato dall’ISTAT e tenutosi a Roma quasi sessanta anni fa, nell’aprile del 1965. In particolare, da pagina 519 in poi c’è un sintetico contributo che affronta il tema del cuneo sul lavoro: “Incidenza dei contributi sociali sul reddito dei lavoratori, sulla disoccupazione, sui prezzi e sul potenziale produttivo”.
La lettura è molto interessante e consigliata a chi si occupa di strutturazione del welfare system e del suo finanziamento, perché getta luce su come è percepito negli anni Sessanta il problema del peso del finanziamento della spesa sociale sulle retribuzioni, su quali soluzioni si prefigurino e, nel contempo, quali su limitazioni si scorgano nella informazione disponibile e soprattutto nella qualità e quantità delle banche dati nazionali e internazionali.
Si propongono alcuni spunti. In primo luogo, balza agli occhi che l’analisi viene condotta a un livello di massima aggregazione, considerando il totale della spesa pubblica per welfare senza darne una definizione e neppure uno spaccato per componenti se non quello, anch’esso a maglie molto larghe, tra previdenza, assistenza e sicurezza. Probabilmente mancavano dati e la spesa era anche concentrata su pochi, pochissimi istituti, fondamentalmente pensioni e sanità.
Il confronto internazionale è solo abbozzato perché, come sottolineato più volte dall’Autore, la disponibilità dei dati è limitata e potrebbe non valere la comparabilità delle statistiche tra Paesi. Su questo fronte – possiamo dire noi oggi – molta strada è stata compiuta, guardando sia alla imponente quantità di statistiche rese accessibili online dall’ISTAT, sia alle statistiche appositamente sviluppate a livello europeo per garantire i confronti tra Partner UE e, tra queste, anche le statistiche e le loro proiezioni a medio lungo periodo regolarmente diffuse dal “Gruppo di lavoro sull’invecchiamento della popolazione” di EPC-ECOFIN.
Nonostante la insufficiente disponibilità di dati, sulla base di quelli disponibili l’articolo può affermare che nel 1962 in Italia è significativamente più elevato che negli altri Paesi europei il cosiddetto cuneo contributivo, inteso come incidenza dei contributi sociali complessivi (pagati sia dal lavoratore dipendente sia dal datore di lavoro) sulla retribuzione lorda del lavoratore dipendente. Va ricordato, per seguire bene i numeri del paper, che nel 1962 non esiste ancora il SSN finanziato prevalentemente dalla fiscalità generale (si deve attendere il 1978), e che l’assistenza sanitaria passa attraverso le mutue categoriali finanziate con contributi del datore di lavoro e del lavoratore.
Dell’alta incidenza dei contributi sociali l’Autore paventa effetti negativi e distorsivi sulla domanda e sull’offerta di lavoro, sulla produttività, e sulla dinamica dei prezzi al consumo sui quali plausibilmente si vedono traslati almeno in parte i contributi sociali che, dal punto di vista del bilancio del datore, sono a tutti gli effetti costi di produzione.
Sin qui gli elementi di discussione non appaiono, mutatis mutandis, granché diversi da quelli odierni; eppure, una significativa differenza emerge se si guarda alle ultime righe dell’articolo, lì dove, sempre in maniera sintetica, si propone la soluzione di spostare una parte del finanziamento delle prestazioni dai contributi sui redditi da lavoro alla fiscalità generale (l’Autore parla proprio di fiscalizzazione), per contenere gli effettivi depressivi e distorsivi del cuneo senza intaccare le prestazioni.
E in effetti questo avviene proprio con la creazione del SSN universale a sostituzione delle mutue, e con il passaggio del finanziamento dai contributi obbligatori sui redditi da lavoro alla fiscalità generale. L'Autore scrive a inizio anni Sessanta e non può sapere che dopo dieci anni questa riforma strutturale, tra le più importanti dell'era repubblicana, prende corpo.
Non va dimenticato, tuttavia, che questo cambiamento nella struttura del finanziamento può sortire gli effetti positivi auspicati dall’Autore perché, da un lato, negli anni Sessanta la pressione fiscale (il rapporto tra le entrate fiscali e il PIL) è ampiamente inferiore al livello attuale e, dall’altro, in quegli stessi anni l’economia cresce a tassi che oggi appaiono un miraggio (sono gli anni del boom). È all’interno di questo quadro complessivo che la modifica permette di ottenere quei risultati positivi auspicati dal paper, ampliando la base imponibile da cui estrarre le risorse necessarie a sostenere il welfare, riducendo l’eccesso di pressione, ed evitando di far pesare eccessivamente l'onere del finanziamento sulla retribuzione, ossia sulla grandezza che risulta dalla contrattazione tra datore di lavoro e lavoratore da cui dipendono le scelte di occupazione, inquadramento e produttività.
Purtroppo, quel quadro oggi non c’è più e il problema di alleggerire la contribuzione obbligatoria trasferendone una quota sulla fiscalità generale lascia il posto a un altro problema di più difficile soluzione: quello di contenere e sperabilmente ridurre una pressione contributiva e una pressione fiscale entrambe divenute, rispetto agli anni Sessanta, significativamente più alte. In particolare, la crescita della pressione contributiva è il risultato soprattutto della crescita dell’aliquota di contribuzione obbligatoria al primo pilastro pensionistico.
In conclusione, del paper presentato al primo convegno di “Studi statistici sulla finanza pubblica” nel 1962 rimane il monito che l’eccessivo cuneo contributivo può generare effetti indesiderati e depressivi sull’economia e quindi indebolire anche la capacità di fornire adeguate prestazioni di welfare. E nel 1962, come si legge nel paper, i contributi sociali obbligatori pesano, inclusivi della quota del datore, della quota del lavoratore e dei pagamenti alle mutue sanitarie di allora, 1/3 (il 33 per cento) della retribuzione lorda del lavoratore, il livello odierno della sola contribuzione pensionistica al primo pilastro.
"Scavare" nelle analisi economiche del passato, oltre che essere piacevole per chi apprezza l'approccio storico-storiografico, spesso fornisce lenti importanti per dare più peso e pregnanza alle analisi della contemporaneità.
Roma, 9 maggio 2025
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