La Riforma della Curia Romana

Nonostante possa apparire un po' fuori tema rispetto alla linea editoriale sinora seguita da Reforming, volentieri accettiamo questo contributo di Antonio Finazzi Agrò.

Provate a leggerlo in controluce alla usuale "cassetta degli attrezzi" dell'economista e verranno fuori profili comuni alle analisi sull'evoluzione e sulle riforme delle Istituzioni complesse: accentramento, decentramento, voice, exit, scelte allocative, globalizzazione, allargamento dei diritti, law&economics, e chissà quante altre.

Certo si tratta di un ambito particolare, dove l'economista deve muoversi in punta di piedi e rispettare equilibri e ritmi e tempi di cambiamento che non corrispondono sempre a quelli dei sistemi socio-economici (tra l'altro complessi e pieni di specificità anche questi ultimi).

Ma in fin dei conti la Chiesa lo è un particolare sistema socio-economico, e tra tutti quello con la vita più lunga e resiliente.

Per non menzionare, poi, l'interesse alle ricostruzioni storiche e storico-politiche che rientra da sempre nei tratti distintivi prediletti dalla Redazione di Reforming.

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La Storia della Chiesa è lunga e di buona memoria. Movimenti centripeti - di accentramento dell’autorità in capo al Papa e alla Curia Romana- e centrifughi - di riflessione e maggior coinvolgimento delle Istituzioni periferiche e dei Vescovi sparsi per il mondo - se ne sono visti tanti.

Finazzi ne ricorda tre che hanno rivestito rilievo epocale: l’impostazione della Chiesa delle origini, molto “mediterranea” e “nord africana”; la Riforma Gregoriana dell’XI secolo, di ricostituzione dell’autorità papale sulla spinta di rinnovamento in senso rigorista proveniente da Cluny e da alcuni episcopati tedeschi; e le innovazioni del Concilio di Costanza agli inizi del ‘400, che tentarono di frenare (meno di un secolo prima dell’avvento di Lutero) le degenerazioni del centralismo papale-romano.

I cambiamenti che Papa Francesco sta cercando di introdurre nella Curia Romana si pongono lungo questo stesso millenario corso.

Quanto importante è, oggi, dare più voce alle Chiese nel mondo, cioè ai soggetti che direttamente incontrano e parlano alle genti più diverse ma anche sempre più uguali nella richiesta di partecipazione?

Parafrasando Finazzi, forse si potrebbe dire che, se sinora "la principale eresia imputabile al Pontefice consisteva nel non mostrarsi in grado di preservare l’unità della Chiesa", adesso una parimenti grave manchevolezza potrebbe esser quella di non dare ascolto alle tante Chiese, coinvolgendole da protagoniste nell’ecumene cristiano. Senza voice, come direbbero gli economisti seguendo gli insegnamenti di Hirschman, diventa alto il rischio di exit. E l'exit sarebbe una rottura, o comunque un indebolimento, dell'ecumene.

Suonerebbe troppo scontato e ovvio collegare queste esigenze alla globalizzazione che viene chiamata ormai in causa ogni dove e per ogni cosa, ma forse un fondo di verità c’è. Ma lasciam parlare Finazzi...

Redazione di Reforming, 2 agosto 2019, Roma